C’è qualcosa di incomprensibile e insieme allucinante nel dibattito politico regionale che riempie le pagine dei giornali ma non la pancia di chi è senza lavoro e senza reddito; un dibattito troppo lontano dai bisogni delle famiglie e troppo concentrato sugli organigrammi. Si discute da settimane di nuova giunta regionale mentre migliaia di famiglie sono allo stremo e assistono con stupore alle lotte tra e dentro i partiti. Deve essere chiaro che o la politica torna ad occuparsi dei problemi della gente o rischiamo una ribellione sociale in cui nessuno si salva.
Eppure è sufficiente snocciolare i dati su lavoro e povertà per rendersi conto che la ripresa di cui molti parlano è solo ideologia di ottimismo a buon mercato. Riporto i dati in assoluto per dare una raffigurazione plastica della situazione. In Basilicata l’Istat ha registrato nel 2014 – i dati sono dunque piuttosto freschi – una platea di 32 mila disoccupati; il 40 per cento di questi disoccupati sono persone che hanno perso il lavoro a causa della crisi, quelli che con un eufemismo vengono definiti espulsi. Sono i padri di famiglia, spesso ultracinquantenni, che hanno vissuto ascesa e declino dell’industrializzazione lucana e che oggi riempiono gli elenchi della mobilità e della cassa in deroga.
Nello stesso anno l’istituto quantifica in oltre 50 mila i disoccupati lucani che non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare, una forza potenziale che resta ai margini del mercato del lavoro per mancanza di opportunità e di investimenti e per la pressoché totale assenza di politiche attive del lavoro e un sistema formativo in grado di restituire alla vita attiva queste persone sottraendole per tempo ad un destino di apatia sociale. Una comunità che non sappia tutelare il suo capitale umano sega il ramo su cui sta seduto.
Nel frattempo sta dilagando la povertà e anche le famiglie che sono riuscite a scampare alla crisi denunciano un impoverimento del proprio tenore di vita, complice l’incertezza sul futuro e una fiscalità predatoria, col risultato che si preferisce tesaurizzare i bonus fiscali e rimandare l’acquisto di beni durevoli a tempi meno grami. Si pensi che oltre la metà delle famiglie lucane considera la propria condizione difficoltosa, mentre 12 famiglie su 100 si giudica in grande difficoltà. Il 70 per cento delle famiglie non riesce più a risparmiare e quasi 4 famiglie su 10 non riescono a fare fronte a spese impreviste.
Questo è il quadro sociale che ci consegna la lunga recessione che ha scosso come un terremoto la nostra regione lasciando solo macerie e disperazione. Il problema, dunque, non è chi deve occupare questo o quello scranno, ma partire dalla fredda contabilità della crisi per impostare una fase nuova nelle politiche di sviluppo regionale, non disperdendo quanto di buono si è fatto in questi mesi.
Le fibrillazioni politiche di queste settimane, infatti, hanno imposto uno stop sostanziale alla concertazione e rischiano di compromettere anche i risultati faticosamente conseguiti negli ultimi mesi. In tal senso è paradigmatica la vicenda del reddito minimo di inserimento, misura dettata dall’urgenza di assicurare un minimo sostegno al reddito a chi non ha alcuna fonte di sostentamento, ma che fatica a trovare uno sbocco definitivo e cifre certe dentro un contesto politico in cui le priorità sembrano essere diventate altre.
Il presidente Pittella ha avuto il merito di comprendere che senza il supporto dei corpi sociali intermedi della regione la sua giunta avrebbe boccheggiato ben presto, stretta tra le urgenze che si affastellano nell’agenda politica e che reclamano soluzioni. Il clima di fattiva cooperazione che ha caratterizzato i primi mesi della legislatura hanno fatto sperare in un cambio di metodo; cambiamento che la prova dei fatti rischia ora pericolosamente di sconfessare, come dimostra la storia infelice della discutibile fondazione per la ricerca sociosanitaria istituita mentre si tagliavano i fondi ai dializzati. La Basilicata si salva solo se sarà in grado di esprimere unità d’intenti e capacità di concentrare in poche ma efficaci misure le risorse a disposizione, che sono più di quelle di altre regioni ma non infinite e non per sempre.
Questo era scritto nel piano per il lavoro, la crescita e la coesione sociale che Cgil Cisl Uil hanno elaborato nella consapevolezza che c’era un vuoto di iniziativa politica e di rappresentanza da riempire e che quel vuoto, senza il lavoro responsabile di mediazione del sindacalismo confederale, sarebbe stato riempito dal populismo e dalla demagogia che hanno facile gioco quando la disperazione sociale raggiunge il punto di non ritorno. Perché una democrazia che non abbia il consenso dei cittadini non è più una democrazia; una democrazia che produce dissenso e disincanto sociale prepara il terreno agli avventurieri.
Dico al presidente Pittella e a tutte le forze politiche della regione che questo non è il momento di traccheggiare o di consumarsi in una logorante guerra di trincea: questo è il momento di portare a compimento il lavoro di concertazione fatto in questo anno e mezzo. È il momento di dire agli espulsi senza ammortizzatori sociali, ai giovani che non trovano lavoro e sono costretti ad emigrare come i nonni, agli imprenditori seri che hanno voglia di investire sulla propria terra, che possono fidarsi di una classe politica che discute, media, litiga, ma poi decide avendo come unica stella polare il bene della comunità, segnatamente dei più deboli.
Ci sono precedenti storici che giocano a nostro favore. Ne cito due che costituiscono fratture indelebili nella storia della comunità lucana. L’epopea della prima industrializzazione nella Valbasento, che avviò la trasformazione industriale di un’economia prevalentemente agricola e arcaica, e la ricostruzione post terremoto, che ad una rilettura critica depurata dai pregiudizi, non fu solo malversazione e spreco di soldi pubblici ma determinò un’ulteriore accelerazione del processo di ammodernamento infrastrutturale della regione.
Due vicende assai diverse ma accomunate da quella volontà di riscatto che è energia di cambiamento sociale. Pur con tutti i limiti del caso e i risvolti non sempre positivi, che consegniamo ben volentieri all’opera degli storici, quelle vicende videro protagoniste due classi dirigenti che seppero dimostrare lungimiranza e capacità di visione politica. Questo è quello che chiediamo oggi alla classe dirigente di questa regione: saper coltivare un progetto di rinascimento economico e sociale proiettato in un orizzonte temporale di lungo periodo mettendo a frutto risorse, capacità e opportunità che pure non mancano. È una sfida che riguarda tutti.
Nino Falotico