C’è un tempo in cui coraggio e responsabilità diventano un esercizio categorico, un imperativo morale. La crisi che ha spazzato via le certezze del ‘900 e con esse i tradizionali punti di riferimento politici e culturali di quel tempo impone alle classi dirigenti di questo nuovo tempo un salto di qualità nella lettura delle problematiche economiche e sociali e nella stesura di una nuova e più avanzata piattaforma politica. La crisi in atto è il prodotto di un duplice cambiamento: il primo è quello che va sotto il nome di globalizzazione. Il mondo occidentale è chiamato a condividere la gestione dell’economia con nuovi soggetti, come Cina, India e Brasile, e a ricercare con essi un nuovo equilibrio. La crisi è quindi destinata a continuare finché non sarà trovato un nuovo equilibrio tra soggetti e poteri che governano il mondo.
Il secondo grande cambiamento consiste nella rottura del rapporto tra economia e società: l’economia si è globalizzata e finanziarizzata, per lo più in termini speculativi, mentre la società e il lavoro sono rimasti locali. L’economia è diventata indipendente dalla società e dai suoi fini, offrendo in cambio l’illusione di una crescita illimitata della produzione e dei consumi. Questo modello economico è saltato; e con esso sono saltati i tradizionali modelli politici di riferimento. Dopo il modello ideologico che ha caratterizzato buona parte della prima repubblica, riassumibile nella dicotomia destra-sinistra, e dopo quello geografico della seconda repubblica, caratterizzato dal rapporto tra centro e periferia, ora siamo passati al parametro generazionale, quello che si gioca tra vecchio e nuovo, tra rendita e impegno, tra disperazione e speranza. L’ignavia e l’immobilismo suicida dei nuovi-vecchi partiti non hanno scuse, ma la concezione mediatica e semplificatoria della democrazia e la strategia incerta e contraddittoria dei nuovi arrivati non sembra prospettare nulla di buono per l’Italia.
Se la politica arranca e vive una crisi profondissima, incapace com’è di elaborare risposte nuove a nuovi bisogni, è altrettanto vero che si aprono nuovi spazi di rappresentanza e di protagonismo sociale per i corpi sociali intermedi, in particolare per il sindacato, chiamato a riscoprire le ragioni che lo vogliono unitario, autonomo, contrattualista e pluralista. Il sindacato ha davanti a sé una sfida che apre uno spazio inedito di protagonismo e responsabilità. Se i tradizionali attori collettivi di riferimento – i partiti, le classi, le categorie, i governi – vengono soppiantati da meccanismi di rappresentanza di micro interessi particolari sempre più agguerriti, tocca al sindacato porre al centro delle agende politiche la difesa degli interessi generali, ma evitando confusioni di ruoli e gattopardismi che rischiano di minare la credibilità delle proposte. Il sindacato non ambisce a sostituirsi alla politica, ma rivendica il diritto – che per noi è un dovere – di dare forza e voce agli interessi deboli e di svolgere una fondamentale funzione di contrappeso agli interessi organizzati dei grandi potentati economici, che si fanno forti del proprio potere economico per condizionare una politica ridotta allo stato di servitù.
È con questo spirito costruttivo che la Cisl, unitamente a Cgil e Uil, ha inteso offrire al dibattito politico regionale il contributo di idee e proposte che abbiamo condensato nel Piano del Lavoro, della Crescita e della Coesione per la Basilicata. Una piattaforma che si pone in continuità con il Patto Obiettivo Basilicata 2012 ma che allo stesso tempo ambisce a sistemattizzarne alcuni aspetti di contenuto e di metodo dentro una cornice organica e convergente di politiche economiche e sociali orientata alla ripresa della crescita e alla creazione di nuove opportunità di lavoro. In queste settimane di messa a punto del calendario di assemblee e incontri sul territorio per illustrare ai lavoratori, ai pensionati, ai disoccupati, agli uomini e alle donne della Basilicata i contenuti del piano, in una logica di negoziato sociale aperto e trasparente, abbiamo costruito un decalogo di proposte che rappresenta la sintesi del complesso lavoro di elaborazione condotto in questi mesi dai sindacati confederali. Un lavoro che abbiamo concepito fin dalle prime battute come una piattaforma open source, vale a dire aperta al contributo di tutti, delle istituzioni, delle imprese, del non-profit, con spirito laico e non corporativo.
Le politiche del lavoro costituiscono, com’è ovvio, il muro maestro del Piano. L’emergenza lavoro, con i suoi risvolti spesso drammatici, è la spia più evidente e dolorosa del declino industriale e produttivo che ha colpito la nostra regione. I dati in tal senso sono eloquenti. In meno di dieci anni abbiamo perso circa 8 mila posti di lavoro, come dire che una cittadina di medie dimensioni è senza lavoro. Il processo di deindustrializzazione ha falcidiato il tessuto produttivo locale e lasciato in eredità oltre 2 mila lavoratori in mobilità. Nella nostra regione il tasso di disoccupazione è aumentato nel 2012 e aumenterà anche nel 2013 toccando quota 15,6%. Il Pil della Basilicata è calato del 2,9% nel 2012 e lascerà sul campo un altro 1,4% nel corso di quest’anno, quattro decimali in più rispetto alla media nazionale, a conferma del fatto che la recessione sta allargando pericolosamente il solco tra Nord e Sud del paese.
È questo scenario di vero e proprio declino che va aggredito con una piattaforma di proposte che abbia il lavoro come stella polare. Per questo proponiamo misure a sostegno del lavoro a tempo indeterminato e del contratto di apprendistato come principale porta di accesso al mercato del lavoro dei giovani. Così come non è più rinviabile l’adozione del reddito di inserimento e reinserimento per chi è alla ricerca della prima occupazione o per chi ha perso una precedente occupazione, accompagnato da un mix di politiche attive del lavoro orientate alla crescita dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro, con particolare riguardo alle fasce deboli, in particolare donne, giovani ed espulsi voler 50. Ma è tutto il Piano orientato alla creazione di nuove e più solide opportunità di lavoro: dallo sblocco delle opere pubbliche agli investimenti in infrastrutture tecnologiche, banda larga in primis; dagli aiuti mirati alle imprese, in particolare quelle che orbitano nei settori innovativi, al rilancio della filiera scuola-formazione-ricerca; dalla riforma della pubblica amministrazione, con il contrasto agli sprechi, alla rimodulazione dei fondi e della programmazione comunitaria per un’Europa più sociale e inclusiva.
La classe politica lucana, uscita malconcia dallo tsunami giudiziario, seppure al netto di responsabilità che andranno pesate nelle sedi competenti e di giudizi che andranno calibrati di conseguenza, ha una responsabilità che è prima di tutto politica. Ed è dalla politica, la buona politica al servizio del bene comune, che occorre ripartire. In questo senso il Piano del Lavoro, della Crescita e della Coesione per la Basilicata ambisce ad essere metodo e sostanza di una proposta che vuole entrare a pieno titolo nel dibattito politico dell’oggi e del domani con l’obiettivo di ricollocare la nostra regione su un nuovo e più solido sentiero di crescita economica, sociale e civile. La sfida è lanciata.
Nino Falotico