Cavallo alla Gazzetta: «Serve un patto sociale per la Basilicata»

Intervista al segretario generale della Cisl Basilicata Vincenzo Cavallo pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 25 maggio 2023.

Questione sanità. Come giudica l’azione del governo lucano sul riassetto del comparto?

«Se guardiamo allo scarto tra i molti annunci e le poche realizzazioni, il bilancio non può che essere negativo. Sarebbe stato più opportuno prendere atto delle difficoltà e ricercare un confronto serio con le parti sociali. La Giunta Bardi ha scelto invece la strada più comoda: rinviare la risoluzione dei problemi. Prendiamo il caso del nuovo piano sanitario regionale: è stato presentato in pompa magna ma si è subito rivelato una scatola vuota. Anche il riassetto della medicina territoriale e i progetti finanziati dal PNRR sono sostanzialmente fermi. Abbiamo detto a più riprese che occorre aprire un confronto ampio e articolato con le forze economiche e sociali, il mondo delle professioni sanitarie, il terzo settore e gli enti locali perché è in gioco l’esercizio del diritto costituzionale alla salute per le prossime generazioni. Va scongiurato il rischio di un declino inarrestabile per riportare la sanità lucana sul sentiero dell’eccellenza dal punto di vista scientifico, tecnologico e organizzativo. Tuttavia, la riforma dell’autonomia differenziata, così come è scritta, rischia di tagliare le gambe a molti servizi essenziali. A Bardi diciamo che il diritto alla salute dei cittadini lucani non può essere sacrificato sull’altare degli equilibri politici nazionali dentro il centro-destra».

E per quanto riguarda gli ambulatori privati ritiene che la partita possa essere considerata chiusa dopo il plafond previsto nel bilancio?

«Ribadisco: non si può pensare di governare la sanità mettendo toppe a destra e a manca. La sanità della Basilicata deve ripartire da una puntuale analisi dei bisogni di salute della società lucana e da un riorganizzazione dei servizi su base territoriale con l’obiettivo di decongestionare i grandi poli ospedalieri regionali e assicurare una più funzionale integrazione tra servizi sociali e sanitari. Per l’individuazione delle case della comunità, ad esempio, sono necessari criteri oggettivi e trasparenti. Dentro questo disegno il rapporto tra sanità pubblica e medicina privata deve essere improntato ad una leale collaborazione, anche perché il privato svolge comunque un servizio pubblico».

Il governo lucano conta di replicare il bonus gas anche per l’acqua. Della serie: bollette gratis per i lucani grazie alle risorse naturali del territorio. Perché il sindacato ha mostrato sempre dubbi su questa impostazione?

«La politica dei bonus a pioggia non è mai una soluzione appropriata, soprattutto quando non si tiene conto delle differenti condizioni economiche delle famiglie. Per quanto riguarda l’acqua esiste già un bonus rivolto alle fasce sociali più deboli: si rafforzi quello. Noi sosteniamo ogni misura nella direzione dell’equità sociale e della tutela dei redditi bassi. È sicuramente positivo e necessario incamerare le risorse economiche derivanti dal bene acqua nel bilancio regionale e in quello in sofferenza di Acquedotto Lucano, ma queste risorse poi devono essere oggetto di valutazione se destinarle ad un sistema di bonus o a politiche di welfare per i cittadini e servizi per le imprese. Di certo occorre un grande piano per ridurre la perdita del 60 per cento di acqua nel sistema di condutture fatiscenti: è una cosa che non possiamo permetterci. Poi serve una grande campagna di educazione alla riduzione degli sprechi. Questo per noi significa valorizzare le risorse naturali».

Da sempre si parla di un Patto per il lavoro con la Regione ma tutto resta sempre sul piano teorico. Cosa si dovrebbe fare per rilanciare l’occupazione in Basilicata?

«Per noi patto per il lavoro significa prima di tutto una politica industriale in grado di sintonizzare la Basilicata con le altre regioni del Mezzogiorno per raccogliere la sfida della transizione energetica. Il Sud può diventare un grande hub energetico sostenibile, attivando investimenti in ricerca, sviluppo, collegamenti e produzione. Più in generale serve un patto sociale per cambiare l’agenda economica e sociale di questa regione. Per la Cisl patto sociale significa innanzitutto assunzione di responsabilità. È urgente mettersi al tavolo con le parti sociali per definire le linee strategiche di un progetto di sviluppo serio per la Basilicata partendo da una consapevolezza: c’è uno scollamento preoccupante tra ceto politico e società civile, ma non sono i cittadini che si stanno allontanando dalla politica, bensì è la politica che è sempre più distante dai cittadini. Il patto sociale serve a ricucire questo strappo e a ricentrare l’azione del governo regionale sulle reali esigenze della società lucana. La portata sfidante di questa fase di transizione non ammette l’improvvisazione come metodo di governo. Serve aprire una nuova stagione di concertazione sul modello dei primi anni ’90. È un caso che la maggiore crescita economica e occupazionale della Basilicata sia coincisa proprio con le politiche pattizie di quegli anni? Secondo noi quella è la strada per affrontare la complessità dei problemi attuali. Allo stesso tempo la Cisl pone il tema della democrazia economica. Nei prossimi giorni partiremo con la raccolta di firme per la nostra proposta di legge per l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione sulla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, a partire dal tema della sicurezza»

Un’emergenza nell’emergenza occupazionale è quella degli over 50 espulsi dal mercato del lavoro. E’ una fascia di ex lavoratori abbandonata a se stessa. Cosa propone per loro?

«Quella degli over 50 espulsi dal mercato del lavoro è indubbiamente una categoria che incontra molte difficoltà, ancor di più in un mercato del lavoro asfittico e depresso come quello lucano. È una problematica strutturale che incrocia i profondi cambiamenti tecnologici che stanno investendo le economie industrializzate. Su questo fronte bisogna però evitare di rassegnarsi all’idea che un lavoratore con venti o trent’anni di esperienza alle spalle non sia più una risorsa. Anche in Basilicata ci sono posizioni scoperte e lavoratori che non si trovano: si tratta di opportunità che possono costituire un reale orizzonte in cui inserire i disoccupati maturi, i quali hanno davanti a sé comunque un arco temporale in cui posso essere lavoratori, purché il lavoro sia dignitoso, ben retribuito e soprattutto sicuro».

Automotive, caso Stellantis. Basta lo status di area di crisi per emergere dalle difficoltà e dalle incertezze?

«È sicuramente un’opportunità perché permette di ampliare la tastiera delle misure e degli interventi che si possono implementare per accompagnare i processi di transizione che stanno investendo la filiera automotive, tuttavia il grosso è ancora da fare. Si è chiuso un lungo percorso istruttorio, ora si tratta di avviare la fase negoziale che dovrà vedere il coinvolgimento di tutti gli stakeholder al fine di individuare la giusta sintesi nei progetti di riconversione e riqualificazione industriale che dovranno essere improntanti alla sostenibilità sociale, alla salvaguardia dei posti di lavoro nel settore e alla riqualificazione del capitale umano. La sfida che ci attende è governare la transizione e tradurre in opportunità ciò che in questo momento si presenta come un rischio. È il momento di passare dai ragionamenti astratti sulla transizione ecologica e digitale alla vita reale delle persone e delle fabbriche attraverso un piano concreto di interventi e di investimenti con l’obiettivo di dare sicurezza ad un settore importante e strategico per il paese e per la vita di intere comunità della Basilicata. Allo stesso tempo, data la complessità delle questioni, è ancora più urgente la costituzione di una cabina di regia regionale sulle politiche industriali quale momento di confronto, pianificazione e monitoraggio delle misure messe in campo per accompagnare il settore automotive lucano verso la nuova stagione della mobilità elettrica».

Il rapporto con le altre sigle sindacali: in diversi casi siete divergenti.

«Vede, l’unità sindacale non è un’ideologia ma un orizzonte in cui collocare le nostre diversità. Questo significa che l’unità non viene meno anche se su alcune questioni esprimiamo legittimamente posizioni differenti. La tipicità del modello sindacale confederale è che l’unità è sempre rispettosa del pluralismo. Il fatto che oggi Cgil, Cisl e Uil siano un saldo punto di riferimento nel paese per milioni di lavoratrici e lavoratori e riescano a mobilitare decine di migliaia di persone su proposte concrete significa che questa ricetta funziona. Perché cambiarla? Il Primo Maggio a Potenza e la manifestazione di Napoli di sabato scorso sono state occasioni per rinsaldare l’unità sindacale su una piattaforma articolata che è la sintesi di sensibilità diverse, ed è nella sintesi di queste sensibilità che trovano forza le nostre proposte per cambiare l’agenda economica e sociale nel senso della equità e della giustizia sociale, contro le disuguaglianze sociali e territoriali che rischiano di spaccare la nostra società. L’unità che serve al futuro della nostra regione non è l’equivalente dell’unanimismo, ma quella che si fonda sul confronto tra soggetti di pari dignità. La politica dovrebbe prendere spunto da questo modello».

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