Discorso di insediamento di Vincenzo Cavallo al Consiglio generale del 18 giugno 2021

Amiche e amici,

mi consentirete un po’ di emozione in questa giornata per me molto particolare. 

In questi giorni ho pensato molto alla mia esperienza nella CISL. 

Nella mia testa si affollano le immagini dei volti delle donne e degli uomini che ho incontrato nel mio percorso sindacale; i fotogrammi delle tante lotte fatte per guadagnare un passo dopo l’altro più diritti e più dignità, per realizzare quella “utopia dei deboli”, come la chiamava un grande riformista: Ezio Tarantelli. 

Anni spesi con umiltà al fianco dei più umili e tenendo sempre a mente l’insegnamento di Giulio Pastore: per essere guide autentiche per i lavoratori bisogna vivere in mezzo ad essi.  

E non è forse questo il lavoro che facciamo ogni giorno tutti noi? Non è questa la nostra CISL?

Prima di entrare nel merito vorrei ringraziare la nostra “guida autentica”, Luigi Sbarra, con cui ho condiviso un importante percorso sindacale nella FAI, e che sono certo non ci farà mancare il suo sostegno in questa nuova esperienza confederale.

Saluto il mio segretario nazionale Onofrio Rota, che proprio da Gigi ha ereditato il timone della FAI; lo ringrazio per l’attenzione che ha sempre dimostrato per la nostra terra.

Grazie a Enrico e a tutta la sua squadra per il lavoro fatto in questi anni che, sono certo, renderà il mio impegno, il nostro impegno per il futuro più agevole. 

Assumo questo nuovo incarico con la consapevolezza delle responsabilità che il ruolo di guida della CISL impone. 

Non ho promesse da farvi, se non quella che metterò tutte le mie energie per essere all’altezza del compito che oggi mi assegnate. 

Per fortuna non sarò solo in questa nuova sfida, ma avrò al mio fianco compagni di viaggio e una squadra fatta di persone competenti e appassionate. 

Perché la mia CISL sarà il sindacato del NOI.

Questo Consiglio generale coincide con una fase storica che con un eufemismo potremmo definire convulsa. Da un anno e mezzo viviamo in un’indecifrabile condizione di sospensione della normalità. 

Le mascherine, che ancora celano i nostri volti e i nostri sorrisi, sono la metafora plastica di una crisi d’identità.

Quel che è certo è che stiamo vivendo in presa diretta un cambio d’epoca, e come ogni cambio d’epoca riusciamo a cogliere quel che è stato, ma non ancora quel che sarà in futuro. 

Le certezze che pensavamo granitiche si stanno sgretolando una dopo l’altra, alimentando un clima generale di sfiducia e rassegnazione.

La pandemia è una frattura della Storia che marca una forte discontinuità nella vita della nostra comunità. Un evento che per vastità degli effetti è stato spesso paragonato ad una guerra. 

E come per ogni guerra c’è un prima e un dopo. 

A noi il compito di lavorare in questo presente per fare del dopo un tempo delle opportunità e non della rassegnazione, un tempo della speranza e non della sfiducia.

Chi mi conosce sa che mi piace spesso citare una frase di Aldo Moro che sembra tagliata su misura per questo travagliato momento. È questa:

“Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”.

Ebbene, noi non intendiamo sfuggire alle responsabilità e alle sfide che questo tempo ci impone di vivere. E sappiamo di poterlo fare perché ci sorregge il patrimonio di valori e di esperienze, di storie di donne e di uomini che hanno fatto della CISL un grande sindacato. 

E qui consentitemi di ricordare due figure che hanno dato tanto alla CISL: 

Franco Marini, uomo del sindacato e delle istituzioni, che ha fatto del dialogo la cifra distintiva del proprio mandato civile al servizio del prossimo; 

e il nostro Alessio Ambruso, per anni punto di riferimento per tanti di noi per la passione che ha sempre animato il suo attivismo sociale schietto e spontaneo.

A noi il dovere di non disperdere queste eredità e di metterle a frutto per le nuove generazioni. 

A noi il compito di portare con orgoglio la bandiera del sindacalismo riformista, a-partitico e a-confessionale, che si ispira ai principi della dottrina sociale della chiesa, non per alzare muri e reticolati contro lo “straniero” ma per costruire ponti verso l’altro da noi.

Perché, vedete, il sindacato per sua natura o è accogliente o non è sindacato.

La nostra squadra eredita un’organizzazione che – come si era soliti dire prima della pandemia – ha fatto i proverbiali compiti a casa.

Dobbiamo essere onesti con noi stessi: è stato un lavoro non semplice quello fatto in questi anni dalla segreteria di Enrico, ma necessario. 

In questi anni, mentre il quadro istituzionale intorno a noi si sgretolava sotto i colpi della globalizzazione e la politica denunciava una preoccupante e tuttora non risolta crisi di legittimazione e di consenso, il sindacalismo confederale è stato in Italia un fondamentale argine democratico e sociale. 

E qui voglio ringraziare gli amici di CGIL e UIL con cui in questi anni l’azione unitaria è diventata più solida e strutturata, come dimostrano i tanti documenti elaborati e le iniziative promosse per l’occupazione, lo sviluppo, la sicurezza, non ultimo l’attivo unitario di martedì scorso. 

Un impegno che è nostra intenzione continuare e rafforzare ulteriormente avendo come stella polare il bene collettivo della Basilicata.

Ereditiamo una CISL che gode di buona salute, che ha saputo sperimentare forme organizzative più fluide, in linea con i bisogni di una società sempre più puntiforme, per meglio presidiare le tante periferie esistenziali di questo tempo. 

Ora la sfida che ci attende e che deve vederci impegnati a tutti i livelli è collegare i punti, che significa collegare i bisogni materiali ed esistenziali delle persone per costruire una più solida identità collettiva del mondo del lavoro.

Questo significa, prima di tutto, intensificare la nostra presenza nei territori, a partire da quelli più marginali, dove il sindacato è spesso l’unica presenza istituzionale, l’unica àncora a cui aggrapparsi nel momento del bisogno, la bussola che indica il cammino verso il progresso.

Il sindacato trova infatti il suo senso autentico nella presenza, ma deve essere una presenza qualificata e costantemente aggiornata. 

Per questo intendiamo intensificare gli investimenti nella formazione dei nostri quadri e operatori che costituiscono la nostra prima linea territoriale e continuare la collaborazione con le federazioni nella formazione delle RSU/RSA nella prima linea delle fabbriche e dei luoghi di lavoro.

In questo senso bisogna proseguire il lavoro di riorganizzazione della rete dei servizi, accentuando ulteriormente il principio della confederalità. In un contesto sociale in cui i bisogni si individualizzano, i servizi costituiscono una fondamentale porta di accesso alla CISL.

Pertanto, lo snodo tra servizi e sindacato è fondamentale per ricondurre i bisogni individualizzati in una logica collettiva e per tradurre in proposta politica i segnali che provengono dai vissuti quotidiani delle persone.

Perché è nel quotidiano di ciascuno di noi che si scaricano le contraddizioni del tempo presente. E da lì bisogna partire per elaborare le risposte. 

Nella crisi verticale della politica, che ancora una volta ricorre alla supplenza della tecnica per compensare i propri limiti e per sottrarsi ai costi che fare delle scelte inevitabilmente comporta, si aprono nuovi spazi di azione per il sindacalismo confederale, nuovi spazi per condividere responsabilità. 

Lo spettacolo offerto dal dibattito politico è a tratti surreale: mentre il governo governa i partiti si azzuffano quotidianamente per marcare la loro differenza rispetto all’alleato. 

Il risultato è una rutilante commedia degli equivoci che lascia più di qualche dubbio sulla affidabilità e credibilità di questi partiti nella futura gestione degli investimenti del PNRR.

E veniamo a quella può essere considerata senza tema di smentita la novità politica più significativa di questo ultimo anno e mezzo. 

Pur tra mille resistenze e contraddizioni, e al netto di qualche errore strategico, penso alla negoziazione dei contratti per i vaccini, l’Europa sembra essersi finalmente svegliata dal lungo letargo in cui l’aveva relegata il primato dalla politica intergovernativa.

Infatti, la pandemia, se da un lato ha riportato al centro della scena lo Stato, dall’altro ne ha evidenziato anche i limiti strutturali nell’affrontare questioni per loro natura globali. 

Il Recovery Fund e il Next Generation EU, lungi dal rappresentare il momento fondativo di una nuova Europa, come si è detto con un eccesso di retorica, segnano certamente un avanzamento significativo nel processo di integrazione europea.

C’è un prima e un dopo pandemia anche per l’Europa. I destini dei popoli europei oggi più che mai sono legati da un rinnovato spirito di solidarietà.

Ora tocca all’Italia come sistema paese dimostrare di essere credibile negli obiettivi e capace nella loro realizzazione, con una governance aperta ai soggetti del sociale.

Il PNRR segna anche un cambio di passo nel modo di concepire le politiche per lo sviluppo, ma vorremmo ancora più confronto, ancora più dialogo tra governo e parti sociali, non certo per il solo gusto di partecipare, ma per dare un contributo fattivo affinché l’atterraggio degli investimenti nei territori produca un reale accrescimento della capacità competitiva e del benessere delle persone.

Oggi suonano profetiche le parole che l’allora ministro per il Mezzogiorno, Giulio Pastore, padre fondatore della CISL, pronunciò nel 1959 alla Fiera del Levante:

“Dobbiamo considerare il tempo delle infrastrutture, quello della industrializzazione e quello della formazione del fattore umano, come tempi interdipendenti”.

Certo, la commedia quotidiana dei partiti non depone a favore di una prospettiva lunga e di una visione politica interdipendente dello sviluppo. Sta perciò a noi, come soggetto sociale diffuso, stimolare un orizzonte politico che non sia quello del piccolo cabotaggio ma quello di una progettualità di lungo periodo che guarda giustappunto alle nuove generazioni e non alle prossime elezioni.

Noi diciamo al governo Draghi di valorizzare il pluralismo della società italiana, di coinvolgere le forze vive del lavoro, dell’impresa, del volontariato. Sono le forze che tengono in piedi il paese e lo fanno progredire nonostante tutto. 

Dobbiamo recuperare la concertazione come metodo per affrontare problemi che la politica anche in passato ha dimostrato di non saper governare da sola; e quando ha cercato di farlo, ha fallito miseramente.

In questo scenario, dobbiamo intensificare gli sforzi per rivendicare spazi di agibilità sociale e per far contare le ragioni dei lavoratori nei luoghi decisionali. 

Per questo va sostenuta in ogni sede la proposta lanciata da Luigi Sbarra di un patto sociale, proposta che si iscrive nella lunga e feconda tradizione della CISL e del miglior riformismo italiano.

Serve un patto sociale anche in Basilicata. E lo dico a quella politica che ancora pensa di esercitare il potere secondo il principio dell’autosufficienza. 

Dobbiamo rilanciare il lavoro come elemento centrale della vita sociale e fare delle aziende luoghi di arricchimento e di relazione, spazi di emancipazione e di libertà. 

La centralità del lavoro si ottiene rimettendo al centro la contrattazione, una contrattazione che deve essere moderna e innovativa, in cui il valore del lavoro non è misurato solo in termini monetari, ma anche sotto forma di servizi e prestazioni che accrescono la qualità della vita e il benessere psicofisico delle persone.

Si tratta, insomma, di costruire una nuova sintassi dell’azione collettiva per fare del sindacato una voce protagonista del nuovo paesaggio istituzionale che va configurandosi nel dopo pandemia.

La sfida è dare dignità sociale al disagio crescente nelle periferie materiali e simboliche nella nostra società; 

sottrarre alla scorciatoia del nichilismo chi in questi mesi ha visto frustrate le proprie aspettative; 

essere speranza per chi l’ha perduta. 

La situazione sociale del paese, alle prese con gli effetti economici e sociali della pandemia, impone una seria riflessione su quali azioni mettere in campo e con quali risorse per ridisegnare un nuovo paradigma di welfare. 

Dobbiamo scongiurare il “rischio del ripiegamento” come lo ha definito recentemente il Censis. 

Nel 2020 – spiega l’istituto – si sono registrati quasi mezzo milione di occupati in meno e oltre 700 mila inattivi in più. 

“Si tratta di una quota importante della popolazione che non colloca il lavoro nel proprio orizzonte”. 

Inoltre, gli effetti della pandemia sono stati asimmetrici giacché hanno colpito in particolare donne, giovani e stranieri.

Un pezzo significativo della nostra economia rischia perciò di sprofondare nelle acque limacciose dell’economia irregolare, e in alcune aree questo sta già avvenendo, con ripercussioni anche sulla sicurezza e sulla salute.

Purtroppo, i primi scampoli di ripresa economica sono stati macchiati dalla ripresa su larga scala degli infortuni, spesso con esito mortale. E anche la Basilicata ha già pagato un altro tributo di vite umane.

Anche i protocolli più stringenti rischiano di rivelarsi impotenti se non accompagnati da una rete più capillare di controlli e da un massiccio investimento in prevenzione e cultura della sicurezza.

Come sindacato sulla sicurezza non faremo sconti. Occorre esercitare la massima pressione in tutte le sedi per alzare la soglia di attenzione sul fenomeno e per lanciare la sfida della qualità del lavoro.

La riforma degli ammortizzatori sociali, attesa da troppi anni, deve essere l’occasione per ridisegnare la rete di protezione sociale per chi perde il lavoro, ma una riforma di tale portata non si può fare con la scure dei licenziamenti che pende sulla testa di centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori.

Negli scorsi anni la politica di contenimento della spesa, di aziendalizzazione e centralizzazione del sistema sanitario regionale ha prodotto il sotto-dimensionamento dei servizi ai cittadini, come ha messo drammaticamente in evidenza l’emergenza Covid-19. 

La CISL vuole rispondere a questa sfida non soltanto in termini difensivi, ma avviando processi di innovazione e ripensamento del sistema welfare in una logica di partecipazione valorizzando la contrattazione nei territori come luogo negoziale preferenziale perché più prossimo ai bisogni dei cittadini.

La sfida è duplice: da un lato modificare l’articolazione dei servizi nei territori, dall’altro mobilitare risorse economiche e relazionali aggiuntive in grado di sostenere un’adeguata risposta alle nuove forme emergenti di bisogni sociali diffusi.

Cruciale sarà la capacità di mobilitare le risorse umane migliori che oggi scappano dalla nostra regione per mancanza di opportunità. 

Ora, se è vero che non c’è futuro possibile per la nostra regione senza i giovani, non è vero il contrario. 

Lo dimostrano i tanti figli di questa terra che si fanno valere ricoprendo anche ruoli di responsabilità in altre regioni e nazioni. 

Dunque, è la Basilicata che deve cambiare se vuole richiamare la diaspora e frenare l’emigrazione giovanile. 

È la Basilicata che deve darsi quella “politica interdipendente” di cui parlava Pastore, perché senza una visione d’insieme, senza un progetto, ogni sforzo umano ed economico risulterà vano.

La Basilicata vive in pieno le contraddizioni e le dinamiche di questo periodo, pur con sue peculiarità storiche. 

Come ha evidenziato il nostro centro studi nel barometro sul benessere/disagio delle famiglie, la Basilicata ha dimostrato in questi mesi una sorprendente capacità di resilienza e di adattamento al mutato scenario economico e sociale. 

Una “resilienza nella fragilità” – come l’ha definita Luana Franchini nel secondo quaderno del centro studi – che è figlia di quella cultura comunitaria che ha funzionato da paracadute nella fase più acuta della crisi pandemica, ammortizzando la caduta e predisponendo ad una ripresa potenzialmente più rapida.

La Basilicata è la regione che durante il 2020, in piena pandemia, ha registrato la peggiore caduta del PIL (-12,9%), ma – secondo le previsioni della Svimez – sarà anche la regione del Sud che farà meglio nel 2021 (+2,4%), pur in un quadro di generale allargamento della forbice con le regioni del Centro-Nord che cresceranno di oltre il 4 per cento.

Dunque, riconoscere la resilienza di un territorio non significa nascondere i suoi problemi strutturali. La divaricazione tra centro e periferie – tratto storico del capitalismo pre-pandemia non solo italiano – assume nel nostro territorio le sembianze drammatiche dello spopolamento delle aree interne. 

Un’emergenza, questa, per troppo tempo sottovalutata dalla classe politica regionale, indaffarata più a coltivare le relazioni corte con singoli gruppi di interesse che ad immaginare politiche pubbliche in grado di frenare l’emorragia demografica e il conseguente impoverimento di capitale umano dei piccoli paesi.

Il riassetto della società lucana, con sempre meno giovani e sempre più anziani, se da un lato non può e non deve essere considerato l’ineluttabile destino della nostra terra, dall’altro va affrontato pragmaticamente con misure in grado di garantire la sostenibilità nel lungo periodo del sistema sanitario e socioassistenziale. 

L’altezza delle sfide alle quali siamo chiamati meriterebbe un dialogo meno frammentato e più continuo anche con la politica regionale. 

L’attuale maggioranza, al pari di quelle precedenti e con poche eccezioni, non è apparsa finora nelle condizioni di affrontare con la necessaria lucidità e determinazione i tanti problemi che giacciono irrisolti nella nostra regione. 

Lo diciamo senza supponenza alcuna ma mettendoci a disposizione nell’interesse del bene comune, come abbiamo dimostrato di saper fare nei momenti più drammatici della vita del nostro paese.

La caotica situazione che si è determinata nel settore della sanità nei momenti più caldi della crisi pandemica – figlia ovviamente di scelte inappropriate del passato – è la cartina di tornasole di un sistema politico che, a fronte di una mal celata pretesa di autosufficienza, fatica nei fatti a trovare le giuste soluzioni.

Se il sistema sanitario ha retto, è grazie allo spirito di abnegazione dei lavoratori e delle lavoratrici, a costo di grandi sacrifici. A loro voglio indirizzare il ringraziamento e la riconoscenza di tutta la CISL.

E questo vale per tutte le categorie di lavoratori che in questo anno e mezzo sono stati in prima linea nella lotta al Covid-19 e che ci hanno garantito quel minimo di normalità che ha reso più sopportabile le restrizioni sociali: dai lavoratori della sicurezza a quelli della filiera agroalimentare, dagli addetti ai servizi negli ospedali agli operatori dei trasporti e della logistica.  

Vorrei ora passare in rassegna molto rapidamente i principali dossier economici che riguardano la nostra regione.

Partiamo da Stellantis. L’incontro che si è tenuto nei giorni scorsi al ministero dello Sviluppo economico tra governo, sindacati e vertici aziendali segna un punto di possibile svolta per lo stabilimento di Melfi, la cui importanza è stata ribadita con l’annuncio di una nuova linea produttiva full electric che avrà una capacità potenziale di 400 mila vetture e un reparto interno per l’assemblaggio delle batterie. 

È il segnale che attendavamo per fare di Melfi la capitale della mobilità elettrica e di nuova generazione. 

Ora più che mai serve una politica industriale ambiziosa, sia nazionale che regionale, in grado di accompagnare il processo di sviluppo dei nuovi modelli coordinando gli interventi su infrastrutture industriali, innovazione e capitale umano. 

Su Eni e Total lavoriamo per un cambio di passo che faccia della risorsa petrolifera quella risorsa per lo sviluppo che finora non è stata, mettendo al centro concetti quali sostenibilità e diversificazione energetica. In tal senso, la proposta di portare in Basilicata uno dei nove centri di alta tecnologia per l’ambiente e l’energia previsti dal PNRR è un’idea che va sostenuta per dare una svolta green alla nostra economia.

Il turismo vivrà una fase di assestamento soprattutto grazie alla componente nazionale della domanda. Per la Basilicata l’istituto Demoskopica prevede un incremento del 9,9 % degli arrivi e dell’11,6% delle presenze, dati che posizionano la nostra regione nelle parti basse della classifica nazionale, segno che la ripresa potrebbe accentuare i divari territoriali anche nel comparto turistico.

Su Matera i riflettori si sono spenti troppo presto e troppo rapidamente. Come ha opportunamente ricordato Aurora Blanca in un recente convegno nella Città dei Sassi “occorre mettere in campo una rinnovata progettualità che, partendo dalle esperienze e dalle buone pratiche di progettazione partecipata realizzate nel 2019, proietti Matera su un sentiero di rinnovato protagonismo internazionale con una definizione chiara del suo posizionamento”.

Il PNRR è l’ultimo treno per agganciare la Basilicata alle aree più dinamiche dell’Europa; 

per completare e ammodernare le reti tecnologiche, in particolare energetiche, e le infrastrutture materiali e immateriali per la mobilità delle persone, delle merci e delle idee; 

per creare una vera filiera del capitale umano e della conoscenza rafforzando la formazione tecnica, l’università e la ricerca scientifica, premessa per innestare innovazione nel nostro tessuto produttivo;

per fare della Basilicata una terra delle opportunità per tutti e della solidarietà nei confronti di chi resta indietro.

Come vedete, ci aspetta un lavoro impegnativo che implicherà uno sforzo organizzativo e anche creativo. 

I fronti di crisi che attendono una risposta sono tanti, e spesso parliamo di crisi che si trascinano da decenni senza soluzione di continuità, come quella della Valbasento. 

Le affrontiamo con senso di responsabilità, spirito positivo e progettualità, sapendo di poter contare su valori e idee solide, i valori e le idee della CISL. 

E allora mettiamoci in viaggio, tutti insieme, nella consapevolezza che quando si va verso un obiettivo è molto importante prestare attenzione al cammino: infatti è il cammino che ci insegna sempre la maniera migliore di arrivare e ci arricchisce mentre lo percorriamo.

Sarà un cammino non facile perché viviamo tempi difficili, ma guardiamo con ottimismo al futuro. 

Dovremo avanzare passo dopo passo, centimetro dopo centimetro, sapendo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale ci dirà di quanto avremo fatto avanzare la linea dei diritti e delle tutele: 

per le lavoratrici e per i lavoratori, 

per i disoccupati espulsi dalle aziende che hanno voglia di rimettersi in gioco, 

per i giovani che progettano il futuro,

per gli anziani che custodiscono la memoria collettiva della nostra comunità. 

Buon cammino a tutti noi!

Grazie!

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