Veniamo da settimane turbolenti che hanno visto la sanità lucana di nuovo al centro delle cronache giudiziarie. Noi siamo garantisti e perciò rispettiamo il diritto di ogni indagato alla presunzione d’innocenza, tuttavia è ormai chiaro che il nostro sistema sanitario soffre di problemi strutturali che la politica non ha saputo o voluto risolvere nel corso degli anni.
È di tutta evidenza che la sanità lucana, anche in ragione dei cospicui investimenti previsti dal PNRR, necessita di una profonda opera riformatrice che metta al centro i bisogni di salute del cittadino, dalle liste di attesa alla medicina territoriale, e assicuri la piena trasparenza dei processi decisionali e degli appalti.
Già l’emergenza sanitaria, che in troppi hanno già dimenticato, aveva evidenziato la necessità di riorganizzare l’assistenza al cittadino garantendo una presenza territoriale e capillare quanto più possibile di presidi, non solo ospedalieri. Anche sulla scorta delle criticità emerse durante la fase più acuta della pandemia, è urgente rivedere il paradigma che ha fin qui dominato la politica sanitaria nella nostra regione.
Il modello centrato sui grandi ospedali in una regione geograficamente complessa e con ampie aree difficilmente accessibili non poteva funzionare e di fatto possiamo dire senza tema di smentita che non ha funzionato. Col paradossale risultato che oggi non abbiamo né la medicina di eccellenza nei grandi ospedali, né la medicina territoriale. Occorre perciò ripartire dal territorio e dalla medicina territoriale come baricentro di una nuova architettura che mette al centro i bisogni di salute di una società sempre più anziana e sempre più fragile.
Il medesimo approccio va adottata per riformulare la politica socio-assistenziale e per riprogettare politiche e interventi a favore dei segmenti più fragili della società lucana, penso in particolare agli anziani non autosufficienti, ai disabili, alle tante forme di marginalità sociale che necessitano di una più stringente integrazione tra assistenza sociale e assistenza sanitaria.
Per questo, oggi, da questa piazza, Cgil, Cisl e Uil lanciano la proposta di un nuovo patto per la salute, un nuovo patto sociale per il diritto alla salute dei cittadini. È tempo di aprire un cantiere della salute per una vera, partecipata riforma sanitaria regionale fondata sulle parole investimenti, prevenzione, territorio.
Abbiamo in più occasioni indicato alla Regione Basilicata quelle che per noi sono le priorità di questo percorso riformatore: rafforzamento della medicina territoriale e integrazione socio-sanitaria, investimenti in nuove tecnologie per la medicina, formazione delle competenze e una governance autorevole e trasparente.
L’avvio della stabilizzazione del personale precario del ruolo sanitario e degli operatori socio-sanitari è un primo passo per invertire il declino della risorsa più importante: le persone e le professionalità. Bisogna completare il processo di stabilizzazione e procedere sui concorsi unici con celerità. Il recente rinnovo del contratto nazionale del comparto sanità offre una preziosa sponda per una migliore organizzazione del lavoro partendo dal riconoscimento delle competenze e dalla valorizzazione delle tante professionalità che in questi anni non state messe nelle condizioni di esprimersi.
E mi consentirà l’assessore Fanelli di dire che non si convocano i sindacati a una settimana da questa manifestazione per poi accusare il sindacato di sottrarsi al confronto. Sono anni che chiediamo alla Giunta regionale un confronto serio sul futuro della nostra sanità. Sono anni che denunciamo lo sfascio del sistema sanitario lucano. Dov’era l’assessore Fanelli?
Il tanto paventato cambiamento stenta a decollare, con aziende sanitarie che soffrono gravi carenze di organico e assetti strategici in alcuni casi non completamente definiti. Pressoché tutte le grandi strutture della sanità regionale vivono una condizione di instabilità amministrativa che produce a cascata instabilità delle politiche e degli indirizzi sanitari. La storia di manager provenienti da altre regioni in diversi casi si è rivelata non particolarmente produttiva, anche nel passato più recente. Serve un nuovo approcci anche nella scelta dei manager che deve passare innanzitutto attraverso un patto di co-responsabilità, ancor prima che contrattuale, in modo che possa essere assicurata stabilità e continuità dell’azione manageriale.
Il nostro sistema sanitario ha bisogno di spostare verso l’alto la frontiera tecnologica facendo ciò che in altre regioni si fa da anni. Strumenti già collaudati come la telemedicina o tecnologie di nuova generazione come machine learning e intelligenza artificiale sono essenziali per allineare la sanità della nostra regione agli standard più evoluti a livello nazionale e internazionale.
Altro tema cruciale, è quello delle competenze. Oggi parlare di sanità in chiave moderna significa parlare di epidemiologia, di economia analitica, di analisi di gestione, di analisi dei bisogni di salute. Questo implica un forte investimento sulle competenze, dalla statistica all’ingegneria clinica passando per la biomedicina, altrimenti non è possibile programmare e panificare gli investimenti.
Questi sono i temi che dovrebbero essere al centro del confronto con la Regione Basilicata dentro il quadro strategico del PNRR che rappresenta forse l’ultima opportunità per mettere in campo gli investimenti che servono alla modernizzazione di un sistema sanitario che risente degli anni e di una gestione non sempre orientata ai bisogni di salute dei cittadini.
Al Governo nazionale chiediamo di non cedere alle lusinghe di vecchie politiche che hanno prodotto il collasso della sanità italiana. Ci preoccupano le cifre contenute nella nota di aggiornamento del documento di economia e finanza e sollecitiamo un confronto di merito su investimenti e spesa sanitaria. Tutto questo desta preoccupazione perché non vorremmo che, passata l’emergenza, la sanità torni ad essere considerata solo “una voce di spesa” e non un” investimento” per il Paese.
Ci preoccupano anche le nuove sirene sull’autonomia differenziata che rischiano di compromettere ulteriormente l’universalità dei diritti sociali nel nostro paese e di spacciare per modelli sistemi sanitari che si sono dimostrati, dinanzi all’emergenza pandemica, del tutto inadeguati a garantire il diritto alla salute.