Durante la presentazione della 54a edizione del rapporto Censis sulla situazione sociale del paese si è sottolineato che a giugno di quest’anno il numero dei contratti collettivi nazionali depositati presso il Cnel ha raggiunto la cifra di 935, ben 627 contratti in più dal 2008. Alla stessa data risultano in attesa di rinnovo 576 contratti collettivi, pari al 62% del totale dei contratti. Sono in attesa di rinnovo 10 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato e 3,2 milioni che lavorano nel pubblico, per un totale di lavoratori afferenti alla totalità dei contratti collettivi che raggiunge i 15,8 milioni. Quindi i 13,2 milioni in attesa di rinnovo rappresentano, nei fatti, l’83,6% sul totale dei lavoratori finora coperti dalla contrattazione nazionale. In questo contesto appare, quindi, particolarmente delicata la situazione dell’intero comparto pubblico, il quale è attualmente regolato da contratti scaduti e ancora non rinnovati, mentre l’attesa di rinnovo ha superato ormai, in media, i 18 mesi.
Il rapporto evidenzia che l’area dell’esposizione al rischio di dumping contrattuale può essere indirettamente misurata dal livello di concentrazione dei lavoratori rappresentati nel minor numero di contratti di riferimento, ma più rilevanti in termini di datori di lavoro e di lavoratori interessati. Dalle analisi del Cnel, alla data del 30 giugno 2020, in soli sette contratti in attesa di rinnovo si concentrano 6,2 milioni di lavoratori e 738.000 imprese o datori di lavoro. Sul totale dei lavoratori in attesa di rinnovo, i sette contratti coprono una quota del 46,6%, ma se si esclude il comparto pubblico e si prende in considerazione il solo comparto privato, la quota sale al 61,6%. Il 37,6% dei lavoratori di tali contratti fa riferimento a quello delle aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi, mentre un altro 24% fa riferimento al contratto dei dipendenti delle aziende metalmeccaniche e dell’installazione di impianti. In totale, questi due contratti rappresentano oltre il 60% dei lavoratori con contratti scaduti (3,8 milioni di lavoratori interessati). Se si aggiunge il contratto del turismo, la percentuale sale al 73,3%.
Come possiamo immaginare un rilancio dell’economia del nostro paese se abbiamo milioni di lavoratori che hanno visto il loro potere di acquisto ridotto dal mancato rinnovo contrattuale? Con la stragrande maggioranza della popolazione produttiva italiana che si trova in questa condizione e con la pandemia che ha svolto il ruolo di acceleratore del suo franare verso il working poor, il ceto medio impoverito è incapace di far fronte al suo tenore di vita abituale che appare sempre più insostenibile. In questo contesto non posso che associarmi a quanto dichiarato in questi giorni dalla nostra segretaria generale Annamaria Furlan secondo cui lo Stato, in quanto datore di lavoro per i dipendenti pubblici, non può non riconoscere il diritto al contratto per i suoi lavoratori.
Non dimentichiamo che i diritti di cittadinanza passano per l’efficacia e la puntualità del lavoro pubblico: non c’è qualità del servizio se non c’è qualità del e nel lavoro; non c’è diritto alla salute senza strutture adeguate e personale sanitario; non c’è sostegno alla famiglia e alla natalità quando mancano asili nido, strutture e personale nel sociale a sostegno della disabilità e della non autosufficienza; non c’è diritto alla sicurezza quando mancano strumenti e lavoratori dedicati. Oggi l’Italia fa i conti con le scelte sbagliate del passato: tagli ai posti letto, alle piante organiche del personale, centinaia di migliaia di posti di lavoro pubblico cancellati, servizi ridotti all’osso. Tutto questo ha creato un paese più diviso, ingiusto, diseguale; e l’emergenza pandemica ha fatto emergere drammaticamente quanto il lavoro pubblico faccia la differenza. Per tutte queste ragioni saremo il 9 dicembre al fianco dei lavoratori pubblici nello loro sciopero perché riteniamo che si debba partire dal riconoscimento del rinnovo del loro contratto per avviare una nuova stagione contrattuale che vedrà la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti coinvolti.
Fondamentale appare quanto dichiarato dal Prof. Tiziano Treu, presidente del Cnel, il quale sottolinea che un progetto collettivo si basa anche “sulla fiducia nella capacità dei corpi intermedi di fare coesione e di contribuire a una buona finalizzazione delle politiche pubbliche. Di fronte alle tendenze individualistiche che hanno portato all’affermarsi dell’ideologia della disintermediazione, pubblico e parti sociali devono contribuire a dare una progettazione del futuro. E le scelte devono essere all’insegna della trasparenza e della chiarezza: esplicitazione di strumenti e obiettivi di politica economica e comunicazione chiara delle decisioni”. La battaglia dei lavoratori pubblici è la battaglia di tutti noi per la dignità del lavoro e della persona, perché senza i servizi siamo tutti più soli e più deboli.
Gennarino Macchia
Segretario generale aggiunto della Cisl Basilicata