Oggi a Matera si è svolta una delle sette manifestazioni territoriali organizzate da Feneal, Filca e Fillea in occasione dello sciopero di 8 ore del comparto legno proclamato dai sindacati dopo l’interruzione delle trattative con Federlegno per il rinnovo del contratto nazionale, scaduto a fine 2022. Analoghe manifestazioni si sono tenute a – le altre si sono tenute a Milano, Treviso, Forlì, La Spezia, Pesaro, Calangianus.
Lo sciopero è stato preceduto in queste settimane dal blocco degli straordinari e della flessibilità e dallo svolgimento di assemblee in tutti i luoghi di lavoro. «Si parla tanto del Salone del mobile e del prestigio di questo settore nel mondo – spiegano le federazioni nazionali – ma noi vogliamo ricordare che dietro tanta bellezza e qualità c’è la professionalità e il duro lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori del legno che attendono il rinnovo del loro contratto in momento economico assai complicato».
«Negli ultimi anni il settore ha realizzato fatturati da capogiro – proseguono – e non si riesce a capire perché Federlegno chieda il blocco del contratto per un anno negando di fatto ai lavoratori ogni miglioramento su orario, diritti e tutele mentre l’inflazione è alle stelle». Enormi, per i sindacati, le distanze con la controparte registrate in materia salariale, su cui pesa inoltre l’indisponibilità a riconfermare il modello contrattuale consolidato dal 2016, che consentirebbe di recuperare per il 2022 in maniera più efficace il potere di acquisto per i lavoratori, con circa 130 euro di aumento della paga base.
Tra le richieste, oltre agli aumenti retributivi per tutelare il potere di acquisto e per combattere l’incremento di prezzi e delle bollette, ci sono la riduzione dell’orario di lavoro a pari retribuzione (da 40 a 38 ore, dedicando una parte alla qualificazione professionale) e una maggiore formazione per gli operai e gli impiegati di un settore che resta all’avanguardia in Italia. «Non si può chiedere di applicare le regole solo quando fa comodo, ora che l’inflazione è alta le imprese devono riconoscere quanto dovuto. A queste condizioni – concludono Feneal, Filca e Fillea – noi non ci stiamo».